Onorevoli Colleghi! - Gli accadimenti che hanno veduto coinvolti alcuni tra i principali istituti di credito italiani ed i rapporti degli stessi con la Banca d'Italia hanno comportato una riflessione in merito all'assetto proprietario dell'Istituto di vigilanza. Appariva infatti del tutto impropria la commistione di ruoli tra controllore e controllati. Secondo uno studio del 2004, condotto da «Ricerche e studi di Mediobanca», la composizione azionaria della Banca d'Italia era ripartita tra diversi istituti di credito, di cui quattro (Gruppo Intesa, San Paolo, Capitalia, Unicredito) possiedono oltre il 66 per cento del capitale sociale. I controllati risultavano quindi essere anche i proprietari dell'organo di controllo.
      Più dettagliatamente, gli azionisti della Banca d'Italia, secondo il citato studio, che rappresenta l'unica fonte ufficiosa disponibile, non essendo oggetto di pubblicazione obbligatoria la composizione azionaria, erano così suddivisi:

          1. Gruppo Intesa: 27,20 per cento;

          2. San Paolo: 17,23 per cento;

          3. Capitalia: 11,15 per cento;

          4. Unicredito: 10,97 per cento;

          5. Generali: 6,33 per cento;

          6. INPS: 5 per cento;

          7. Carige: 3,96 per cento;

          8. BNL: 2,83 per cento;

          9. Monte dei Paschi di Siena: 2,5 per cento;

          10. Premafin: 2 per cento;

          11. La Fondiaria: 2 per cento;

 

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          12. Cassa di risparmio di Firenze: 1,85 per cento;

          13. Ras: 1,33 per cento.

      La tutela del pubblico risparmio, la necessità di distinguere chiaramente il ruolo di controllore e di controllato e le turbative nel mercato finanziario hanno imposto una nuova normativa in grado di riportare la Banca d'Italia nella pienezza dei suoi poteri e della sua autorevolezza, riconducendola appieno nella sfera pubblica e sottraendola in questo modo ai potenziali conflitti di interessi di gruppi privati che potrebbero influenzare a proprio vantaggio le iniziative di ispezione e di controllo riservate all'Istituto di vigilanza.
      In questo ambito si muove la soluzione prospettata dall'articolo 19 della legge n. 262 del 2005, il cui comma 10 prevede che entro tre anni le quote dell'Istituto non in mano pubblica siano ad essa trasferite. La disposizione però non chiarisce quali debbano essere in ambito pubblico i possessori delle quote, che potrebbero essere ridotti ad uno ed influenzabili dal potere politico. Si è pertanto ritenuto opportuno proporre che le quote di partecipazione al capitale siano attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze ed alla Cassa depositi e prestiti, azionisti «naturali» della Banca d'Italia, nonché alle regioni oltre agli altri enti che il Governo riterrà opportuno scegliere. Il regolamento di attuazione della legge dovrà inoltre garantire l'assoluta trasparenza dell'assetto proprietario, ad oggi incomprensibilmente non oggetto di pubblicazione ufficiale obbligatoria.

 

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